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Ripartire dai valori per superare la crisi della politica.

Di Alessandro Bedini.

E’ indubbio che anche nella nostra città la rottura dell’unità politica dei cattolici abbia provocato scossoni e frammentazioni che ancora oggi contribuiscono ad agitare il quadro politico e rendono complicato il raccapezzarsi nello strano puzzle che si è venuto a creare.
Non è necessario ripercorrere le tappe che hanno portato a questa situazione, basti dire soltanto che la scomparsa della "Balena Bianca" dall’orizzonte politico ha comportato, e non poteva essere altrimenti, un rimescolamento di carte ma anche di funzioni assolutamente fondamentale. La nuova legge elettorale, mi riferisco al maggioritario, il ciclone tangentopoli, anticipato a Lucca da alcune inchieste giudiziarie che hanno fortemente condizionato la vita politica cittadina, l’irrompere di nuovi soggetti politici sul proscenio lucchese, mi riferisco a Forza Italia in particolare, ma anche alle sigle che si sono richiamate all’ex DC, e a Vivere Lucca, hanno riempito il vuoto politico che si era venuto a creare intorno alla metà degli anni Novanta.

Ciò che è mancato a mio avviso in questo vero e proprio riposizionamento di soggetti individuali e di movimenti e/o partiti, come si preferisce, è stata la capacità di elaborare proposte politiche che potessero essere collegate con altrettante culture presenti nella nostra tradizione. Tutto questo vale, ovviamente, non solo per il mondo cattolico.
Il crollo del muro di Berlino e le conseguenze della Bolognina, con tutto ciò che ne è seguito, lo si è avvertito chiaro e forte anche a Lucca. I due fattori che hanno determinato l’attuale situazione sono da ricondurre al superamento di una duplice e simmetrica anomalia: l'unità ideologica della sinistra e l'unità politica dei cattolici.

Lucca è stata da questo punto di vista un autentico laboratorio. Vivere Lucca nasce infatti nell’estate del 1994, circa un anno e mezzo prima dell’Ulivo, che porterà Romano Prodi al governo. Un esperimento che vede coinvolti cattolici e esponenti della sinistra, rimasti orfani dei tradizionali partiti di riferimento.
La Democrazia Cristiana a Lucca e nel resto del paese, proponeva il modello dell’articolazione in correnti interne al partito come specificità organizzativa atta a raccogliere e conservare il consenso. I momenti di scontro e quelli di riconciliazione hanno in buona misura scandito, almeno fino al 1991, la vita politica lucchese. La nascita del partito-azienda o partito leggero, mi riferisco a Forza Italia, ha invece messo insieme, progressivamente, componenti eterogenee e segmenti politici provenienti da differenti ambiti di militanza, tenuti insieme dal cemento del potere e dal cosiddetto pericolo comunista.
Con i profondi cambiamenti intervenuti, ai quali abbiamo accennato in apertura, si è andata affermando l’idea della politica come mezzo di riscatto sociale ed economico, come mero esercizio del potere e non più come ricerca del bene comune sostenuto da un’autentica passione fondata sulla circolazione delle idee.

Proprio la mancanza della circolazione di idee anche antitetiche e di modelli alternativi sui quali confrontarsi, hanno determinato la palude nella quale la politica lucchese si sta dibattendo. Le recenti, attualissime diatribe in seno alla maggioranza di governo cittadino, l’impossibilità/incapacità di proporre progetti politici chiari ed efficaci di fronte alle emergenze che ci stanno di fronte, il non voler affrontare mai e dico proprio mai il tema fondamentale della qualità della vita, inteso e declinato secondo diversi orientamenti, il sostanziale fallimento del ruolo dei partiti quali garanti e artefici di partecipazione popolare nella gestione della cosa pubblica, hanno ridotto la politica a un esercizio funambolico di equilibri precari, di personalismi esasperati, di ricatti e controricatti. Recuperare il significato cristiano dell’impegno in politica non significa creare una nuova DC, cosa improponibile nell’attuale quadro politico, anche perché in questa congiuntura quel che si oppone a una visione cristiana della società non è, come in passato, un soggetto politico definito e forte: “è – come osserva Pietro Scoppola - una mentalità e una cultura molecolarmente presente nella società”.
Ciò che maggiormente si oppone all’ipotesi di conferire alla politica una dimensione autenticamente cristiana è, in primo luogo, il rifiuto sistematico di ogni figura trascendente che intervenga per fondare il valore e, dal punto di vista economico, il tramonto di ogni riferimento al valore simbolico, smantellato a profitto del semplice e neutro valore monetario della merce.

Per uscire dall’empasse non esistono ricette miracolose e tantomeno uomini della provvidenza. Si possono tuttavia indicare alcuni elementi che possano contribuire a un autentico rinnovamento della politica anche a livello locale.
Occorre innanzitutto dar vita a un nuovo patto di cittadinanza che superi il bipolarismo forzato dell’ o – di – qua, o- di là, che prelude all’ancor più dannoso bipolarismo del pensiero. E' necessario che tale nuovo patto di cittadinanza preveda forme di autentica partecipazione popolare in relazione agli indirizzi della vita pubblica e soprattutto diventa indispensabile declinare la democrazia, anche locale, in termini non solamente di mercato e di consumo. Porre in primo piano la questione della qualità della vita vuol dire educare e educarsi all’incontro tra gli esseri e la natura attraverso quei valori che li elevano e li magnificano e comporta di per sé un concetto fondamentale: quello di autolimitazione, che significa oggettivamente passare “dalla logica del più alla logica del meno”, per citare Alexander Langer, anche perchè il più non vuol dire necessariamente il meglio e significa prima di tutto rifiutare lo sviluppo come crescita soltanto materiale che crea forme di dipendenza, di alienazione, di rinuncia ad essere se stessi e vuol dire anche opporsi a quella modernizzazione selvaggia che presuppone un improbabile sviluppo illimitato e dunque un atteggiamento predatorio nei confronti della Terra e delle sue risorse.

La trasversalità di una simile proposta spariglia le attuali sigle e cartelli politici denominati centro-destra e centro-sinistra, pone le basi per un recupero dei contenuti e della capacità di elaborazione di progetti politici di ampio spessore, sui quali cercare consenso, in una parola richiede lo sforzo di ripensare la politica alla luce delle attuali sfide epocali che riguardano non solo l’ambito nazionale, il global in questo caso, ma anche quello locale, il glocal, per usare l’espressione del sociologo francese Serge Latouche. Vuol dire soprattutto recuperare il gusto autentico dell’impegno pubblico come servizio verso la propria comunità di appartenenza facendo uscire l’esercizio del potere da un anonimato sempre più lontano dai cittadini e dalle loro associazioni.

Infine è fondamentale ripetere con Giorgio La Pira che “ sono umanamente deficienti tutte le dottrine – di “destra” o di “ sinistra” – che infirmano comunque le verità umane basilari scritte nel Vangelo. E’ umanamente errata così la concezione illuminista come quella marxista: ed i due edifici sociali e giuridici che sono stati costruiti sopra di esse non potevano non risentire di questa intrinseca debolezza della loro base”.

Lucca, 2 marzo 2006
Alessandro Bedini

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